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119. Razia Sultan, regina dell'India

Una mano femminile impugna una spada

Politca, amore, complotti e colpi di scena: la vita della sola donna a essere salita sul trono di Delhi sembra la trama per un romanzo al femminile o un film (entrambi esistono infatti); ma oltre alle leggende e il mistero, che condiscono i fatti reali, c’è una donna musulmana in carne e ossa che nel XIII secolo si tolse il velo per scendere sul campo di battaglia e nell’arena del potere imperiale.
I Mamelucchi governavano sull’India del nord, conquistata qualche anno prima in una storica battaglia tra eserciti. Per la prima volta gli hindu erano diventati sudditi di genti straniere di fede diversa. Il clima era teso, la pace mantenuta con la forza delle armi. C’erano conversioni forzate e ribellioni da sedare. Il Sultano Iltutmish regnava con saggezza e scaltrezza. Iltutmish ha il potere di eleggere il proprio successore e, consapevole delle scarse doti politiche dei due figli maschi, decide di preparare la figlia, Razia, a diventare sultan. Tuttavia in molti considerano inopportuna la scelta, oltraggiosa per l’Islam. Tra questi ci sono i potenti ulama, i dottori custodi della legge. Ma il sovrano non ha scelta e designa ufficialmente la figlia come legittima erede al trono.

Nel 1236 il sultano muore e i nobili, contravvenendo alla volontà del sovrano, mettono sul trono Rukunddin Feroze Shah, fratello maggiore di Razia e burattino nelle mani della madre. Il ragazzo non è all’altezza delle situazione e dopo appena sette mesi la popolazione insorge e lo uccide. Dietro alla rivolta c’è la mente di Razia, che non si era rassegnata alla volontà degli uluma. Incapaci di sedare la sommossa, gli aristocratici sono costretti a chiedere alla leggittima erede di salire sul trono. Era l’anno 1237: il sultanato era per la prima volta in mano a una donna.
Razia non piaceva agli aristocratici per molte ragioni. Si ostinava a non portare il velo, a cavalcare solitaria come fosse un uomo e aveva appuntato come scudiero personale uno schiavo, ignorando i loro consigli. Inoltre le visioni politiche della sultana non corrispondevano alle loro: Razia voleva che il Sultanato smettesse di essere percepito come un’ingerenza straniera da tollerare, per diventare invece un governo da appoggiare. Per questo promosse la traduzione in arabo dei testi sanscriti, partecipò a dibattiti religiosi invitando rappresentanti di tutte le religioni (anticipando quello che poi avrebbe fatto Akbar).
Al popolo Razia piaceva e non vi erano crisi che lasciassero intravvedere una sua imminente caduta. Dunque i cospiratori di corte ricorsero all’intrigo. Sparsero la voce che Razia avesse una relazione illecita con il suo scudiero e fomentarono lo scandalo. L’onore dell’Islam rischiava di essere infangato da una donna. A intervenire fu un esercito esterno, comandato da Altunia, governatore di Bhatinda. Presa con la forza la città, Altunia imprigionò Razia e uccise lo scudiero – raccontano le leggende più romanzate che in realtà Razia avesse rifiutato la proposta di matrimonio di Altunia che risolse così la faccenda.
Per riavere la libertà Razia fu costretta a sposare il governatore di Bhatinda. In un mondo patriarcale la donna accettò il ruolo di moglie, per continuare a governare all’ombra del marito non particolarmente dotato politicamente. La situazione nel regno era frammentata e instabile, ne approfittò il fratello minore di Razia che nel 1240, al comando di un drappello di uomini armati, usurpò la corona.
Si racconta che Razia, la regina che aveva rifiutato il titolo di Sultana e pretendeva di essere chiamata Sultan, cercò invano di fuggire da Delhi e venne uccisa da una banda di briganti. O da un contadino alla fame che, vuole la leggenda, pianse lacrime amare quando si accorse dell’anello imperiale e la riconobbe: con la Sultan aveva ucciso la speranza di un’amministrazione più equa e un regno più prospero.

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