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596. La leggenda del casto Rishyashringa

595-Siccita-Amore

Nella storia del saggio Rishyashringa, presente nel Mahabharata e nel Ramayana, la terra colpita da una lunga siccità torna a fiorire quando il rishi rompe il suo celibato.

 

L’amore porta pioggia e fertilità.

 

Rishyashringa era nato per errore. Suo padre, l’eremita Vibhandaka, che aveva passato la sua intera vita in penitenza, un giorno vide una ninfa celeste lungo il fiume e il seme del suo desiderio incontrollato cadde nell’acqua. Una cerva che si stava abbeverando ne fu immediatamente ingravidata e così nacque Rishyashringa.

 

La visita delle donne a Rishyashringa presso il suo eremo - Northern India, 1650-1675 Drawings Ink and opaque watercolor on paper Gift of Paul F. Walter
Il padre si fece guardiano per il figlio della castità che egli stesso non era stato in grado di salvaguardare. Costruì un piccolo eremo nel cuore della foresta, dove nessun donna sarebbe mai  dovuta passare e crebbe il piccolo Rishyashringa in solitudine.

 

Nel frattempo nel vicino regno di Anga, governato dal re Ramapada, c’era un terribile siccità. Il re della pioggia Indra era arrabbiato perché nessun bramino gli offriva oblazioni. Infatti tutti i sacerdoti avevano lasciato il regno quando il re, accecato dall’avidità, aveva truffato un bramano.

 

Gli astrologi del re consultarono le stelle e stabilirono che la carestia sarebbe finita solo quando il casto e innocente Rishyashringa fosse venuto a vivere nel regno. Solo allora i bramani sarebbero tornati e Indra sarebbe stato riappacificato.

 

Convincere Rishyashringa sarebbe stato difficile, ma ottenere il permesso del padre sarebbe stato impossibile senza qualche stratagemma. Così pensando il re Ramapada convocò la sua miglior cortigiana e le ordinò di andare nella foresta e sedurre il giovane eremita affinché la seguisse in città, in cambio di una lauta ricompensa.

 

La povera ragazza, certa di incorrere nell’ira mortale dell’eremita Vibhandaka, partì con un piccolo seguito per la foresta su di un’imbarcazione che aveva le sembianze di un eremo, ma era colma di ogni delizia.

 

La cortigiana attraccò in prossimità dell’eremo di Vibhandaka, attese il momento propizio e si presentò, vestita come un’asceta, a Rishyashringa mentre il padre si era allontanato nella foresta. Il giovane saggio, che ignorava l’esistenza delle donne, fu impressionato dalla bellezza della cortigiana e domandò chi fosse e cosa ci facesse nella foresta. La cortigiana disse di essere in pellegrinaggio.

 

Rishyashringa, catturato da una strana attrazione che non aveva mai provato, pensò che la giovane fosse una manifestazione divina e volle venerarla con frutti e preghiere. Tuttavia la cortigiana gli disse di non poter accettare le sue offerte, poiché era una semplice rinunciante in cerca di meriti religiosi, lo abbracciò ripetutamente, gli offrì dolci e ghirlande di fiori profumati e lasciò l’eremo.

 

Il giovane innocente, inebriato dall’attrazione, dimenticò i suoi doveri quotidiani, non accese il fuoco sacrificale, non munse la vacca poiché la sua mente era persa nei ricordi degli abbracci e del calore della pellegrina.

 

Quando il padre tornò capì immediatamente cosa era successo e proibì al figlio di parlare con la donna se fosse tornata all’eremo, gli disse che si trattava di un demone in sembianze umane, poi partì per la foresta alla ricerca della tentatrice per maledirla.

 

Rishyashringa Lured into Ayodhya by Dancing Girls - Illustrated by Balasaheb Pandit Pant Pratinidhi, 1916
Quando la cortigiana tornò da Rishyashringa questi le raccontò degli avvertimenti del padre, ma mentre parlava pensava che non ci potesse essere del male in tanta bellezza. Dopo avere trascorso qualche ora nella foresta con la donna fu lui stesso a suggerire di scappare dal padre con lei, per seguirla nel suo eremo oltre le colline.

 

Così fu che Rishyashringa lasciò la foresta e arrivò nel regno di Anga, dove venne accolto con grande fanfara dal re.

 

Come Rishyashringa arrivò in città il dio Indra mandò la pioggia copiosa e pose fine alla terribile carestia che aveva attanagliato il regno per diverse stagioni.

 

Il re Ramapada diede in sposa al giovane sua figlia Shanta e lo dichiarò suo erede, sperando che la felicità del figlio potesse mitigare l’ira di Vibhandaka.

 

Come ci si poteva aspettare, l’eremita accortosi della scomparsa del figlio partì alla volta della città per ritrovarlo e distruggere il regno con il potere della sua furia resa implacabile dagli anni passati in meditazione.

 

Tuttavia quando Vibhandaka giunse a Anga vide il figlio, seduto vicino alla bella Shanta, risplendere di felicità e tutta la sua rabbia si dissolse. Invece di maledire il figlio e il re, diede loro la propria benedizione e tornò a vivere nel suo eremo nella foresta per compiere il suo karma, lasciando Rishyashringa al suo.

 

Fu così che ad Anga la siccità scomparve, le piogge tornarono a cadere regolarmente e il ciclo della vita ritrovò il proprio equilibrio.

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