Nel pieno del periodo elettorale l’India ha ufficialmente riconosciuto i transessuali: il 15 aprile la Corte Suprema ha decretato la possibilità per i transgender di identificarsi come “terzo genere” in tutti i documenti ufficiali. Che siano state proprio le elezioni, con la tensione verso il voto universale inscritto nella costituzione, ad avere facilitato la svolta storica? Di fatto l’India ha fatto un passo da gigante sul cammino dei diritti umani, superando paesi più “liberali” come il Belgio, la Francia e l’Italia –dove si deve essere per forza o uomo o donna e se si sente il bisogno di passare dal sesso di nascita a quello di elezione occorre sottoporsi a operazioni chirurgiche e analisi psichiatriche per poter anche solo cambiare ufficialmente nome.
La presa di coscienza dell’esistenza dei transessuali non significa però che siano ben accetti e inseriti nella società. Molti degli oltre un milione di transgender indiani vivono emarginati, senza la possibilità di ottenere un lavoro e spesso costretti alla prostituzione. I transessuali in India sono conosciuti come Hijra e vivono in comunità presenti nelle grandi città. L’India, culturalmente, ammette la presenza del gruppo hijra –esiste anche una storia mitologica che ne racconta l’origine e una festa a loro dedicata in Tamil Nadu- così come riconosce la presenza di altre minoranze, ma la discrimina. Gli Hijra sono guardati con sospetto, fanno paura. Per vivere molti transessuali danzano o recitano; sono soliti partecipare ai matrimoni o andare nella casa dove è appena nato un bambino per cantare canzoni di buon augurio e ricevere un compenso (si dice che porti sfortuna fare arrabbiare un hijra). Vi dicono di fare attenzione, che “quelle persone” sono diverse, vivono senza leggi morali e “rubano i bambini” per rinfoltire le proprie schiere. I transgender sono vittime degli stessi pregiudizi degli zingari da noi, con in aggiunta connotazioni di promiscuità sessuale.
Storicamente sono sempre esistiti –compaiono per nel Mahabharata e nel Kamasutra- ai tempi dei moghul erano impiegati come guardiani dell’harem e godevano di un discreto benessere e rispetto. Quando gli inglesi governarono il paese li inserirono nelle caste criminali, assieme ai saltimbanchi, gli incantatori di serpenti e tanti altri, favorendo l’emarginazione. Il verdetto della Corte Suprema apre la porta a riforme sociali e culturali che possano migliorare la loro condizione socio-economica e portare a una reale integrazione.
E’ un riconoscimento importante, anche se non del tutto trasparente: lo stato riconosce uomini che si sentono donne ma dichiara illegali gli atti sessuali e l’amore tra persone dello stesso genere. Una delle tante, profonde contraddizioni dell’India. Perché i transessuali sì e gli omosessuali no? La risposta sta forse nella contrapposizione tra individuo e comunità. L’India ha la tendenza a svalorizzare l’individuo ed esaltare la comunità. Gli omosessuali appartengono a diverse caste, classi, geografie e vivono individualmente (anche se esistono oggi gruppi) sparsi per il paese. I transessuali sono invece una comunità antichissima, riconosciuta e riconoscibile –e facilmente isolabile. I transessuali non sono percepiti come una minaccia all’ordine sociale e ai valori culturali e religiosi, gli omosessuali sì. O forse è solo questione di tempo, di passi da fare uno per uno. Forse il nuovo parlamento che si formerà dopo queste elezioni legittimerà anche l’omosessualità. Per ora il giubilo è solo per gli hijra.
Devdutt Pattanaik, The pregnant King. Un romanzo ispirato alla mitologia presente nel Mahabharata, giocato sui confini incerti tra i generi e i ruoli maschili e femminili nell’India antica e, si direbbe, maggiormente tollerante.
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