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130. La nascita del teatro

un attore con una maschera danza, colore rosso e nero

In India tutto ciò che è rappresentazione-cinema, teatro, danza, musical o marionette-ha radici nel Natyashastra, l’antico trattato sulle arti sceniche, attribuito al saggio Bharata Muni. Nel primo capitolo Bharata racconta come sia nato il teatro:

“Un tempo sulla terra regnava il caos. Nonostante l’umanità avesse ricevuto i quattro Veda, i libri del sapere sacro, gli uomini delle caste inferiori continuavano a vivere nell’ignoranza –solo ai brahmani era concesso studiare i Veda- e si comportavano ingiustamente. L’irrequietezza terrena disturbava gli dei del cielo e li spinse a chiedere l’intervento di Brahma, il creatore. Brahma tranquilizzò gli dei e meditò su come poter distrarre gli uomini dalla cattiva strada e instillare la conoscenza nei loro cuori. Siccome tutto il sapere risiede nei Veda, il creatore decise di prendere l’essenza di ognuno dei quattro libri e combinarla in un quinto Veda, accessibile a tutti. Così nacque il Natyashastra, un trattato per insegnare a rappresentare la conoscenza e renderla comprensibile agli uomini.

Quindi Brahma insegnò al saggio Bharata il Natyashastra e questi istruì i suoi cento figli. La compagnia dei Bharata si preparò a inscenare la prima opera davanti a un pubblico di dei. La storia rappresentata era la vittoria del re degli dei Indra sui demoni (asura), un soggetto che non piacque affatto ai demoni, tra l’altro esclusi dall’evento inaugurale. Gli asura, oltraggiati dal ridicolo con cui erano rappresentati, sconquassarono il palcoscenico e fecero fuggire gli attori. Indra li scacciò con un pennone. Ma rimaneva da risolvere come proteggere lo spazio scenico da futuri attacchi demoniaci. Gli dei riuniti stabilirono le proporzioni dello spazio teatrale e incaricarono le divinità guardiane delle direzioni di sorvegliarne i confini. Nel frattempo una delegazione si recò dai demoni per cercare, con la diplomazia, di evitare scontri futuri. Brahma garantì ai demoni che la nuova arte era per tutti, demoni compresi, e che se nella prima opera gli dei erano vittoriosi, in un’altra i demoni avrebbero trionfato. La quiete ritornò. Comunque Brahma suggerì a Bharata di non dimenticarsi mai di venerare lo spazio teatrale prima di una rappresentazione per appagare le divinità guardiane e placare l’ira degli asura –cosa che continuano a fare ancora oggi i discendenti dei primi artisti.”

Passarono gli anni e i figli di Bharata divennero molto popolari. Come spesso succede la fama li fece inorgoglire smodatamente. Nel trentaseiesimo capitolo del Natyashastra Bharata Muni racconta di come l’ego dei suoi figli li fece inciampare nella sventura:

“I cento figli di Bharata misero in scena uno spettacolo che attirò l’ira dei saggi e delle autorità religiose. Nonostante i tentativi di mediazione gli attori non riuscirono a placare il furore dei saggi e questi maledirono i figli di Bharata (di casta brahmani) a diventare shudra, l’ultima delle quattro caste.”

Il teatro e le arti sceniche sono sacre e pure, dono degli dei agli uomini, ma gli artisti che le inscenano sono semplici umani, di qualsiasi estrazione sociale. Attraverso la disciplina, la pratica e la devozione possono tornare a essere dei sul palco, o, nel caso degli attori del cinema, star… quasi divine. A patto che l’ego sia tenuto sotto controllo, onde evitare altre spiacevoli maledizioni.

 

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