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109. Love is in the air

Miniatura del dio Kama che scocca una freccia, su sfondo blu elettrico

Un malaugurato giorno di molti millenni fa Kamadeva, il dio dell’amore, morì incenerito dallo sguardo adirato del divino Shiva. Con Kama morivano la primavera dei sensi, l’ebrezza degli innamorati, e il mondo diventava un posto più triste. Rati, la moglie di Kama, si gettò ai piedi di Shiva per chiedere perdono, a pregare che le restituisse l’inseparabile e amato marito, il più bello tra gli uomini e gli dei. Insieme vagavano per il mondo su un pappagallo verde, facendo innamorare tutte le creature con frecce magiche fatte di canna di zucchero e fiori. Ma Shiva aveva già chiuso il terzo occhio (gli altri due non li aveva nemmeno aperti) ed era tornato a immergersi nella meditazione più profonda, in uno stato dove nulla del creato esiste, nemmeno il dolore per la moglie Sati suicidatasi per amor del marito.
Questa storia è ripetuta in tutta l’India: la raccontano i Purana (le raccolte di leggende mitologiche), le miniature dei codici, i bassorilievi nei templi… ma se il dio Kama è morto come fanno gli uomini a raccontare la sua storia, la ruota del samsara a continuare a girare, la natura a generare senza amore e desiderio? Semplicemente perché il dio Kama era stato incenerito, ma non era scomparso. Il dio dell’amore, l’amore, era diventato polvere sottile e invisibile trasportata dal vento.
Kama non aveva potuto completare la sua missione, non del tutto. Il dio Brahma, su preghiera di tutti gli dei, gli aveva chiesto di salvare il mondo messo in pericolo dall’estraniamento di Shiva, l’eremita cieco alle sorti del divenire. Gli asura, i demoni, avevano subito colto l’occasione per prendere il sopravvento sui deva, gli dei. Taraka, il re dei cattivi, era diventato potentissimo e minacciava di conquistare l’universo. Solo un figlio di Shiva avrebbe potuto fermarlo. Ma Shiva era rimasto vedovo senza essere diventato padre e ora se ne stava in cima alle montagne in completa contemplazione. Kama avrebbe dovuto farlo innamorare di Parvati, colpendolo al cuore con una delle sue frecce. Fu proprio la freccia a disturbare Shiva e a suscitare la furia che incenerì l’amore.
Ma Kama era riuscito a fare aprire per un istante gli occhi di Shiva e per un attimo il dio aveva visto Parvati, che da anni lo amava e gli stava accanto per servirlo. Un attimo fuggente, un piccolo seme che in seguito avrebbe dato frutto. Infatti, la bella e tenace Parvati non si diede per vinta, nonostante la morte (apparente) di Kama e l’indifferenza dell’amato. Anzi, rafforzata la determinazione interiore, aveva preso a meditare e fare durissima ascesi. Per mesi, anni e secoli rimase assorta e immobile finché il potere spirituale accumulato fu tanto da sprigionare un gran calore, ben più scottante del desiderio amoroso che Kama era capace di far nascere. Shiva, a occhi chiusi, percepì la potenza dell’amore di Parvati, aprì gli occhi e fu pronto a diventare marito e padre.
Parvati non si scordò del dolore di Riti e chiese a Shiva di restituire la vita a Kama e così fu. Tuttavia da quel giorno in avanti solo alla moglie fu possibile vedere il dio dell’amore nella sua forma fisica, per il resto del mondo il dio dell’amore continuò a essere invisibile, e forse proprio per questo ancora più potente e pericoloso.

Così lo descrive il grande poeta Kalidasa in Shakuntala (c. 400 d.C.):
Sicuramene il fuoco dell'ira di Shiva ti brucia ancora dentro,

come il fuoco della puledra dell'ocenao;

come potresti altrimenti, Kama, essere così scottante

da ridurre uomini come me in cenere?

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