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277. Matrimonio indiano: effetti collaterali

illustrazione: al centro il simbolo femminile con una bilancia alla base, come sfondo un'immagine in bianco e nero di una sposa

Ragazzo di buona famiglia, dottore in ingegneria, stipendio 100 mila rupie al mese, alto e dalla carnagione leggermente bruna…1.000.000 rupie, 2.000.000 -chi offre di più? Non è un asta, ma qualcosa che ci si avvicina: la dote, che trasforma spesso il matrimonio indiano in un mercato, dove il possibile sposo ha un cartellino con il prezzo consigliato e non fa sconti.
A pagare sono le famiglie delle ragazze, sia quando possono permetterselo che quando si indebitano fino al collo per soddisfare le richieste dalla famiglia dello sposo e assicurare alle figlie una buona posizione da nuora (80% dei prestiti chiesti alle banche sono per sostenere i costi del matrimonio).

Nel migliore dei casi i conti si saldano e la vita coniugale procede normalmente, nel peggiore la storia finisce con un trafiletto sul giornale: “Giovane donna bruciata viva, incidente domestico”. Nel 2010 sono stati riportati 8391 casi di morte per dote, sorprendentemente 1396 più che nel 2000: il male della dote è un fenomeno in crescita- cha avanza di pari passo con lo sviluppo economico- e mina la sicurezza delle donne, dal diritto di nascere (vedi feticidio femminile) alle violenze fisiche e psicologiche sofferte tra le mura di casa.


La dote è un ammontare di denaro e beni che la famiglia della sposa dona a quella dello sposo. E’ un’antica tradizione hindu, un tempo diffusa solamente tra le caste alte, oggi radicata in tutte le sezioni della società indiana (in città e in campagna, tra poveri e ricchi, hindu, cristiani e musulmani –che tradizionalmente davano mehr, doni alla neo sposa). Nonostante sia ufficialmente illegale dal 1961. 


Nella società patriarcale indiana la donna non godeva di diritti di proprietà (fino al 1956, ma completamente fino al 2005). Al momento del matrimonio, quando la ragazza lasciava la casa paterna per diventare figlia degli suoceri, il padre le donava una parte della propria ricchezza (detta streedhan) e offriva denaro alla famiglia dello sposo per non fare arrivare a mani vuote la ragazza, considerata un’incarnazione delle dea Lakshmi che porta prosperità. Solo re, possidenti e chi volveva mantenere alto il proprio prestigio,  seguiva l’usanza e decideva l’ammontare dei doni. Nel XIX d.C la tradizione si consolidò nel sistema della dote, in cui è la famiglia del ragazzo a decidere il valore dei doni.
Ma è con la liberalizzazione economica degli anni novanta che la dote è diventata la piaga sociale che colpisce un po’ tutti. Con la possibilità d'acquisto e la corsa al consumismo, il matrimonio si è fatto esageratamente grasso e ricevere regali dalla ragazza è percepito come una lecita aspettativa: la dote si è trasformata in una sorta di merce di scambio nel matrimonio combinato. 


Affligge maggiormente le donne del nord dell’India, ma non risparmia nemmeno quelle della moderna Bangalore o del Kerala –lo stato con maggior alfabetizzazione e minimo numero di mortalità delle bambine. In pochi ammettono di avere ricevuto una dote, e quasi nessuno di averla chiesta. Ma oro, elettrodomestici, automobili non mancano tra la lista dei regali che la famiglia della ragazza porge al futuro genero.
Se da un lato la situazione sembra peggiorare, esistono sempre più casi di famiglie che non richiedono la dote o rifiutano la richiesta... e il ragazzo. Peccato che i giornali non riportino e diano maggiore spazio a queste notizie.
Il sito-agenzia matrimoniale Shadi.com lo scorso anno ha lanciato un applicazione per diffondere consapevolezza sul problema della dote: Angry Brides (la sposa arrabbiata), inspirata al popolare Angry Birds. Il gioco su facebook ha avuto un buon successo e ricevuto diverse critiche per il tono ironico con cui tratta un fenomeno preoccupante. D’accordo o no, parlarne e distruggere l’omertà è senza dubbio un passo avanti che renderà possibili più denunce e più pronti gli interventi.




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