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485. Jai Ganga Mata: lunga vita al Gange!

un uomo dedito a offrire acqua al sacro Gange a Benares

Quest'anno la giornata mondiale dell'ambiente -in corso oggi- cade durante la Ganga Dussehra, dieci giorni di festa in onore del fiume sacro Gange e l'8 giugno si festeggia il suo compleanno terreno.
I fiumi in India sono considerati divinità femminili: quello che per noi è il Gange in India è la Ganga Mata, la mamma Ganga che con le sue sacre acque nutre la terra, ripulisce il karma dalle colpe commesse  e aiuta gli uomini a spezzare i legami che ci condannano alle continue rinascite.

Un tempo la dea Ganga non scorreva sulla terra ma, vuole il mito, unicamente nel cielo e gli uomini la potevano vedere solo nella sua forma celeste, la via Lattea. Poi un giorno il re Bhagiratha si cimentò nell’impresa di portare il sacro fiume sulla terra per purificare le ceneri dei suoi antenati, figli del re Sagara, l’oceano. Non fu facile richiamare l’attenzione del dio Brahma, il creatore, e ottenere la sua intercessione; ma Bhagiratha era un uomo puro che seppe compiere austerità incredibili –rimanere in meditazione a braccia alzate  per mille anni, per esempio.
Brahma convinse la dea Ganga a discendere nel mondo degli uomini, tuttavia in cuor suo non era per nulla contenta di circondarsi di peccatori, egoisti e ignoranti, e sperava di risolvere la faccenda distruggendo la terra con la forza delle sue acque in caduta.
Brahma prevenì la catastrofe consigliando a Bhagiratha di propiziarsi il dio Shiva, affinché frenasse l’ira della dea durante la discesa. Allora il re riprese a meditare e fare austerità –questa volta in bilico su un piede solo- finché Shiva gli apparve e acconsentì ad aiutarlo. Venne quindi l’agognato giorno in cui il Gange defluì dalla via Lattea diretta sulla terra. Ad aspettarla sulla cima del monte Kailash c’era Shiva che catturò le acque impetuose nella sua folta chioma di dredlock. La Ganga che scorre in India è l’acqua che scende da una sola delle ciocche dei capelli del dio.

Il mito della discesa del Gange, Gangavataran, è raccontato in numerosi testi sacri -Purana, Ramayana e Mahabharata- ed è un tema spesso rappresentato in scultura -due splendidi esempio solo lo Shiva Gangavataran della grotta di Elephanta e il rilievo sul monolite di Mamallapuram.

Le storie mitologiche sono sempre fantasiose e iperboliche, ma risalendo il Gange in Uttarakhand fino alle sue sorgenti nel ghiacciaio oltre Gangotri (una delle mete del pellegrinaggio del Char Dham),  si ha la sensazione che raccontino verità. A 3500 m di altezza, quando sgorga dal ghiacciaio il Gange è impetuoso pur scorrendo in un altipiano e le sue acque non sono dell’usuale color blu chiaro tipico delle acque glaciali, bensì terrose e dorate. Il fiume più sacro al mondo è davvero speciale. Non solo in montagna dove nasce, il Gange sprigiona un fascino forte e unico anche nel mezzo del suo cammino, quando tocca lento e inquinato i ghat della città di Varanasi. Sarà la suggestione, le migliaia di preghiere, la fede assoluta della gente che ci si bagna e beve l’acqua considerata pura. Ma lungo le rive della Ganga è facile sentirsi in armonia con il mondo; come se il fiume, o la dea madre che rappresenta, chiedesse di fare come lei: accettare e lasciare scorrere, prendere tutto –anche il putrido- e continuare a dare, con generoso amore.

Il Gange è anche uno dei fiumi più inquinati della terra. Nel corso degli anni dighe, fabbriche, coltivazioni estese, crescita demografica e fogne minacciano la vita del fiume sacro. La Ganga Mata di oggi non è più quella che era cento anni fa. Nel mito la dea temeva che la discesa terrena e il contatto con gli uomini potessero compromettere la propria purezza, nella realtà ogni anno il ghiacciaio che l’alimenta si ritira e le sue acque si inquinano maggiormente, anche se continua a essere considerato un fiume sacro.

Per i dieci giorni di Ganga Dussehra, soprattutto l’8 giugno, è festa sulle rive del Gange nelle città principali che si sono nate vicino: a Varanasi, Rishikesh, Haridwar e Allahabad i devoti fanno abluzioni speciali, i sacerdoti intonano mantra sacri e tutto attorno è un continuo alzarsi al cielo di canti devozionali e lodi alla dea. Ma il momento più avvincente è la sera, quando dopo il tramonto e l’aarti (la cerimonia del fuoco) si lasciano scorrere nel fiume centinaia di barchette fatte di foglie su cui si pongono lumini, fiori e dolci. Per ringraziare la dea della sua presenza, della vita che porta sulla terra. Per ricordare la sua discesa e festeggiare –speriamo- mille ancora di questi giorni.

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