L’India sa sognare. Martedì 5 novembre alle 14:38 l’India ha seguito con trepidazione la realizzazione di uno dei suoi sogni: con il lancio verso Marte del missile Mangalyaan, 100% made in India. Per alcuni minuti la vita si è fermata, occhi fissi sugli schermi che mostravano le immagini del missile.
Sentivo il batticuore dei miei colleghi durante il conto alla rovescia e la salita rapida del missile oltre i limiti dello sguardo delle telecamere. Poi la gioia, l’avventura di Mangalyaan è iniziata bene, la messa in orbita è stata eseguita alla perfezione, un lancio da manuale. Il viaggio dell’Esploratore di Marte è periglioso, se il satellite raggiungerà Marte il 24 settembre, si coronerà il progetto indiano di entrare nello spazio e di essere tra i pochi che possono permetterselo.
L’esplorazione del cielo e dell’universo inizia molti secoli fa, fin dalle origini la civiltà indiana è affascinata dall’infinitamente grande e studia le stelle per carpire il mistero della vita – questa stessa fascinazione ha portato gli indiani a scoprire lo zero.
Ma il sogno di viaggiare nello spazio ha cominciato a diventare una realtà negli anni sessanta, quando il governo, seguendo la visionaria idea di un politico (Nehru) e un fisico (Vikram Sarabhai) fondò l’Indian Space Research Organisation (ISRO). Nel 1969, l’intero mondo aveva visto il primo uomo camminare sulla luna. Erano gli anni della speranza. Tuttavia per l’India erano anche i difficili anni della neonata nazione presa nella morsa dei conflitti interni e della povertà.
Gli scarsi finanziamenti sono da allora una costante per il Programma spaziale, una limitazione che non ha portato alla cancellazione della ricerca, ma a un’ottimizzazione accurata delle risorse (grazie alla raffinatissima arte dell’arrangiarsi) e all’utilizzazione in campo pratico delle scoperte. Se oggi i miei colleghi sviluppatori e milioni d’indiani possono comunicare in tempo reale con il resto del pianeta lo si deve agli oltre 50 satelliti che ISRO ha messo in orbita dal 1975.
La prima –riuscita-missione indiana nello spazio nel 2008 ha visto il missile Chandrayaan I entrare nell’orbita lunare e scoprire l’esistenza di ghiaccio e acqua, segnali positivi per una futura possibile colonizzazione umana.
Mangalyaan dovrà invece scoprire se ci sono tracce di vita su Marte. Questa missione è costata 72 milioni di dollari, una cifra che per quanto contenuta è notevole per l’economia del paese (negli USA una missione simile costa 679 milioni). Sono in molti a chiedersi se i costi di Mangalyaan siano sostenibili, se la tecnologia economica usata possa portare a termine la missione su Marte e se la ricerca spaziale sia effettivamente utile alla nazione o se si tratta solo di una dimostrazione di forza per il mondo e la Cina in particolare.
L’India ha bisogno di credere nella scienza e di puntare in alto, nel firmamento delle potenze mondiali dove gli uomini hanno già cavalcato lo spazio. Mangalyaan è un’iniezione di autostima nazionale, un chiaro invito a credere nei progetti visionari e a lavorare con determinazione e passione per realizzarli senza farsi ancorare a terra dagli ostacoli.
Vivendo l’atmosfera di attesa del lancio, l’adrenalina e l’entusiasmo trascinante dei miei colleghi mi sono chiesta quando in Italia avessi provato qualcosa di simile. Le uniche occasioni di entusiasmo nazionale venutemi in mente sono le gare sportive… Sarà perché io vivo poco in Italia? O noi italiani abbiamo smesso di sognare e di creare momenti di trepidante attesa?
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