Un tempo la foresta era più estesa e più fitta, poi arrivarono le coltivazioni di tè e di spezie a prendere il posto degli alberi negli altipiani raggiungibili con strade che serpeggiano nel verde.
Un tempo gli unici abitanti delle foreste erano gli animali selvatici e gli adivasi, i tribali, dall’origine etnica che si perde nel tempo e si confonde nella storia. Quando gli abitanti della pianura, soprattutto i senza terra in cerca di un futuro migliore, si addentrano nel fitto degli alberi per costruire case, piantare spezie, coltivare riso negli appezzamenti di terreno che sembravano non appartenere a nessuno, il mondo dei tribali divenne più ristretto e il loro modo di vivere dovette adattarsi ai cambiamenti. Le lotte per il diritto alla loro terra di origine continuano.
I tribali non sono scomparsi dal Kerala. Vi sono molteplici gruppi etnici sparsi lungo i chilometri montuosi. Non sono primitivi con costumi pittoreschi, hanno cellulari e televisioni, ma continano a essere i custodi della foresta, dei suoi segreti e delle sue ricchezze.
A una quarantina di chilometri da Trivandrum, salendo verso Ponmudi, molti di loro vivono in angoli di foresta che sembra incantata, tra alberi lussureggianti e fiumi di acqua cristallina. Le case tradizionali, costruite con materiali naturali (fango, bambù e fogliame) stanno scomparendo, sostituite da cubicoli di cemento per via di un programma di agevolazioni governative.
In Kerala e nel sud dell’India, si venera un dio che abbandonò i confort della vita a palazzo per vivere nella foresta. Si chiama Ayyappan (anche detto Ayyappa), è sempre rappresentato con una tigre e la sua mitologia è molto interessante. Non stupisce che sia tra gli dei più amati dai tribali che vivono nella foresta a Kallar, vicino a Trivandrum, dove sono arrivata attratta dalle cascate e dove sono stata accolta come un’amica sempre benvenuta.
In onore di Ayyappan si tiene ogni anno un importante pellegrinaggio che dura 45 giorni (finisce il 15 gennaio). Il giorno prima di mettersi in cammino verso il tempio di Sabarimala, gli uomini di Kallar celebrano una festa comunitaria, in cui cucinano assieme in uno spazio sacro delimitato da un cerchio di alberi (non ci sono templi nella foresta, gli dei sono venerati nella forma di pietre e alberi) e ricevono la benedizione del dio a cui offrono cibo, incenso e fiori.
Quest'anno ho partecipato alla festa, arrivando al luogo sacro attraverso un sentiero che parte dal villaggio di Kallar. Purtroppo pioveva in quei giorni e un telo di plastica blu copriva la zona “cucina”, gettando una luce bluastra sull’obiettivo della macchina fotografica e rovinando le foto.
La pioggia non ha però scalfito l’atmosfera, né rallentato la preparazione del cibo: diversi tipi di tapioca cotti con riso, cipolle e peperoncino. Oppure bollita, schiacciata e servita con una saporita salsa come aperitivo, o ancora arrostita sotto la brace –con un retrogusto molto simile a quello delle caldarroste.
Il piatto principale era il kajni (si pronuncia kagni): una zuppa principalmente di riso e tapioca –un piatto povero molto nutriente e gustoso.
Così come la tapioca era l’ingrediente base del cibo, la banana era il materiale più usato: si è mangiato per terra, in piatti fatti da foglie di banana appoggiate su una base quadrata ricava con il tronco della palma (il peso del kajni trasforma la foglia in un piatto fondo), con cucchiai fatti di foglie.
Lo spazio sacro tutto attorno agli alberi era decorato con festoni vegetali fatti di tenere foglie di banano e a terra c'erano tronchi artisticamente ornati. Il tutto nel rispetto della natura. Lunga vita ai tribali e al mondo, difficile e in pericolo, in cui continuano a vivere, protetti da Ayyappa e tutti gli altri dei della foresta.
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