Si fa così, inutile discutere. Perché? Semplice, perché così si è sempre fatto, cambiare una prassi passata attraverso il tempo è sconsigliabile. Ogni tanto l’India vi fa mettere le mani nei capelli e scoppiare a ridere, o a piangere.
Apparentemente senza alcuna palese spiegazione, ci sono modi di fare certe che vanno ripetuti tali e quali. Se non vi sta bene è un problema vostro, non si cambiano facilmente.
La procedura, il seguire un modo di fare le cose, senza metterlo in discussione, senza sollevare dubbi è un’abitudine umana, sicuramente parte della forma mentale indiana. Togliete le procedure e il subcontinente crollerà in un abisso di caos! Forse non ve ne rendete conto appena arrivati nel paese, poiché tutto vi sembra molto caotico e sprovvisto di un qualche sistema. Il fatto che gli indiani amino le procedure non significa affatto che siano ordinati e disciplinati.
Talvolta agire rispettando le regole è talmente impegnativo, cavilloso o privo di senso, che per l’autorità incaricata del controllo del processo chiudere un occhio e lasciare passare è naturale. Attenzione però: se volete rompere la procedura dovete farlo a vostro rischio e pericolo senza chiedere consiglio e, soprattutto, permesso.
L’infrazione è generalmente tollerata, il cambiamento di una regola no.
Le cose vano fatte come si deve, e chi è incaricato di farle rispettare la norma ci si mette d’impegno. Credendo pienamente nel proprio lavoro o, probabilmente, godendo del potere che detiene, fosse anche irrisorio (il potere ha grande fascino).
Per molte cose, anche a livello informale, ci sono passaggi precisi, radicati nella cultura locale che sembrano ai miei occhi e a quelli di altri osservatori stranieri – spesso vani. Il caffè dopo la colazione, i denti da lavare prima di mangiare, i saluti ufficiali a tutti i presenti durante una conferenza (anche se siete il quinto a intervenire e prima di voi tutti quanti hanno già nominato tutti), i controlli di sicurezza agli aeroporti, il casco obbligatorio solo per chi guida… Ebbene: gli indiani pensano la stessa cosa di alcune nostre consuetudini italiane. Per esempio si stupiscono per i carrelli agli arrivi all’aeroporto di Milano che accettano solo euro, per l’attenzione eccessiva che diamo alla divisione dei conti alla fine di una cena con amici (anche quando si è invitati in birreria da chi festeggia il compleanno), per il fatto che chi guida sia automaticamente il responsabile del pagamento al casello autostradale…(indagherò per un ritratto più esaustivo degli italiani agli occhi di indiani in trasferta).
In Kerala stanno crescendo come funghi enormi torri di cemento, alveari di appartamenti dai pavimenti bianchi e l’aspetto moderno, garanti di e confort…e sicurezza. Per assicurare ai condomini protezione contro i crimini, in ogni palazzo c’è il chiosco della guardia di sicurezza. I visitatori devono fermarsi per compilare un registro, inserendo nome, numero di telefono, appartamento che si intende visitare, motivo della visita, ora di arrivo, ora di uscita e firma. Tutto questo sostituisce il nostro citofono, e potrebbe in linea di principio effettivamente garantire maggiore sicurezza. Peccato però che non vi venga richiesto nessun documento di identificazione. Ho provato più volte a firmare come Jennifer Lopez dando un numero di telefono falso, e sono sempre passata indisturbata.
Ne ho discusso con amici, loro difendono la procedura, addicendo che comunque il fatto di dovere firmare, lasciare il numero e parlare con la guardia scoraggia i malintenzionati. Forse i malintenzionati indiani hanno una forma mentale diversa dalla nostra: un ladro italiano non credo avrebbe alcuna esitazione a firmarsi Marco Rossi e scrivere il falso.
Le regole cambiano anche qua, lentamente e gradualmente. Però l’amore per i processi prestabiliti, ereditati dal passato (anche prossimo) credo rimarrà ancora a lungo.
Così come la facilità, che ci accomuna con gli indiani, di trovare il modo per non passare attraverso la procedura. L’ossessione del processo e il gusto dell’infrazione. L’India delle contraddizioni.
Crediti
Patterns of Mylapore di Vinoth Chandar [CC BY- 2.0]
Filter coffee by Ashita Kawatra [CC BY-SA 4.0]
Jodhpur street di Thom Maisey [CC BY- 2.0]
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