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Fate largo al re di Trivandrum

Arattu: un’ antica cerimonia che fa fermare gli aerei per far passare dei ed elefanti.

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Anche se oggi il Kerala è uno stato della repubblica indiana, una volta all’anno un’antica tradizione fa rivivere i fasti del regno fertile e prospero di Travancore. Come accade spesso in India una storia molto simile a una leggenda narra che il monarca Marthanda Varma, della dinastia dei Kulasekhara, dal 1729 al 1750 intraprese una politica di espansione che non fu certo priva di violenza: molto sangue venne versato, la vita di innocenti fu spezzata e stravolta, persino i sacerdoti keralesi subirono soprusi e umiliazioni. Quando sedette infine sul trono realizzò la brutalità del suo agire e la vanità del suo orgoglio: il senso di colpa e il pentimento lo spinsero a entrare nel tempio del patrono della casata reale, il tempio di Padmanabhasvami una manifestazione di Vishnu, a Thiruvananthapuram (chiamata dagli inglesi Trivandrum), e abdicare in favore del dio facendo della città la nuova capitale. Da in quel momento in avanti i successivi re di Trivandrum sono considerati i guardiani del tempio e nessun cittadino mette in discussione la loro funzione di protettori della tradizione.


Il giorno di arattu ancora oggi il re officia e solenizza la cerimonia in cui l’icona divina è portata in processione dal tempio fino all’oceano. Il potere secolare del re custode è rappresentato dal corteo di uomini armati di spade e lance, evocazioni dell’esercito reale, e da file di poliziotti in uniforme. C’è anche la banda musicale, che cammina lenta dietro un grande elefante, così grande da far fatica a passare sotto l’arco della porta. Segue la parata degli ombrelli, di paglia o stoffe colorate, che come simbolo di regalità compaiono spesso nelle rappresentazioni di divinità e sovrani.

Dietro i musicisti procede faticosamente e con piccoli passi instabili sua altezza reale Uthradom Thirunal Marthanda Varma. La gente lo saluta con un'ovazione che si leva al cielo unendosi al botto dei petardi. Un piccolo uomo anziano, curvato dagli anni, con tracce di autorità nello sguardo. Un semplice mundu di stoffa bianca legato attorno alla vita, un cappello di velluto verde in testa e la spada in mano. Il verde del cappello e il bianco del vestito richiamano il colore degli smeraldi e delle pietre preziose che indossa al collo. Ai lati del re, a proteggerlo e a consolidare il legame tra religione e potere politico, un gruppo di brahmani che si riconoscono per il cordone di cotone portato di traverso sul petto.


La sfilata si fa strada tra la folla, il re si rivolge verso il tempio da cui escono tre statue portate a spalla da giovani brahmani. Al centro è il dio Padmanabha che le donne accolgono con schioccare di lingua e urla di giubilo. Gli occhi si abbassano e le mani si congiungono in rispettosi saluti e preghiere silenti. Il dio non esce da solo, lo accompagnano altre due incarnazioni dell’assoluto Vishnu: Krishna, divinità pastorale che suona il flauto e Naramsingha, metà uomo e metà leone. Difficile distinguere i tratti delle divinità perché sono completamente ricoperte di fiori colorati. A chiudere la sfilata, avanzano alcuni elefanti con icone divine provenienti da templi vicini.
La processione proseguirà per alcuni chilometri, fino a giungere alla spiaggia davanti all’ex palazzo reale a Shangumugham (oggi trasformato in emporio). La strada più breve che dal tempio arriva al mare attraversa l’aeroporto: così, per permettere agli dei di immergersi nell'oceano e al re guardiano di assicurare prosperità al regno, si ferma anche il traffico aereo. Perché L’India del boom economico non dimentica da dove viene, non recide il forte legame con il sacro e con il rito e non limita la visione del mondo al razionale. Così accanto agli aeroplani passeggiano i pachidermi e le icone divine, in attesa di essere deposte sulle piattaforme di sabbia che trasformano la spiaggia in un tempio con le porte spalancate verso il mistero di questo grande paese.


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