1. Namaste: saluto il dio che è in te
Namaskar, namaste, namaskaram sono i saluti maggiormente diffusi in India, usati da tutti al momento in cui ci si incontra e si va via. Il saluto è lo stesso per tutti, senza differenze di registro formale o informale, in una terra dove le forme di rispetto hanno moltissima importanza e sono codificate nelle diverse lingue, e si usa in qualsiasi luogo: per strada, a casa, in viaggio o in assemblea.
Namaste significa sommariamente “mi inchino a te”, namaskar o namaskaram “porgo i miei rispetti, rendo omaggio”. Sono saluti che derivano dalla lingua sanscrita e sono prescritti nei Veda (i testi sacri più antichi, fondamento dell’induismo), tra le cinque delle forme di saluto canoniche. Namah significa chinarsi, mostrare rispetto, sottomettersi o onorare; letteralmente è talvolta interpretato come na ma, non mio, indicando la valenza spirituale del saluto che implica il relativizzare l’ego in presenza degli altri. Namaste è in un certo senso simile al nostro ciao, derivante dal veneziano e che significa “sono il tuo schiavo”, mi sottometto a te in senso largo. Ma in India si intende una sottomissione a un potere superiore che è presente a anima tutto l’universo, compreso l’essere umano che ci sta davanti.
Salutando con un namaste riconosciamo il dio che è in ognuno, non la superiorità dell’individuo. Per questo motivo non ci sono saluti che stabiliscano la scala gerarchica delle persone, perchè i saluti asseriscono l’eguaglianza degli esseri umani manifestazioni del divino e ne onorano la sacralità.
Tuttavia, nel quotidiano della vita sociale, gli indiani fanno molta attenzione alla posizione sociale in cui si collocano le persone. Esistono canoni e forme di rispetto anche nell’atto del saluto, che trovano espressione nel gesto che accompagna il namaste e nella tempistica del saluto. Per esempio salutare per primi significa accordare rispetto all’interlocutore, onorarlo.
Namaskar, e gli altri derivati, si pronunciano abbassando lievemente la testa e congiungendo le mani, come in preghiera, all’altezza del cuore. L’unione delle mani simboleggia l’unicità del cosmo, fatto di spirito (rappresentato dalla mano destra) e materia (mano destra), o in altri termini la riunione dello spirito cosmico e quello individuale. Se si saluta un maestro o una persona di particolare prestigio le mani si incontreranno all’altezza della fronte e davanti a un dio si portano sopra la testa.
I gesti si fanno più elaborati quando si vuole mostrare rispetto per gli anziani, per i genitori o per sacerdoti, monaci e grandi spiriti. Esistono diverse forme di namaskar o pranam che includono la prostrazione totale (sashtanga namaskaram, in cui la testa, il petto, le mani, i piedi e simbolicamente la mente toccano terra); il toccare i piedi del maestro o dell’anziano con le mani, appoggiando la testa a terra e poi toccarsi i lobi delle orecchie (abhivadana namaskaram) e il toccare i piedi o le ginocchia e poi portare le mani alla fronte (panchanga namaskaram).
Altre varianti hindu del saluto che si incontrano in diverse regioni, o in specifici contesti religiosi, sono sempre legate all’idea del riconoscimento dello spirito divino che risiede negli uomini. In Rajasthan per esempio, ci si saluta dicendo Ram Ram saa, dove Ram è il nome di un’incarnazione divina del dio Vishnu protettore dell’ordine cosmico. In contesti dove è diffuso il culto del dio Krishna (altra incarnazione di Vishnu) il saluto è invece Jay Shri Krishna o Hare Krishna. A Varanasi, dove il dio Shiva ha particolare importanza, si sente Mahadev. Altro saluto abbastanza diffuso è il semplice Om shanti con cui terminano i canti religiosi delle diverse divinità.
Tra i non hindu si ritrova qualcosa di molto simile. I sikh, per esempio, si salutano dicendo Sat Shri Akal, epiteto di un dio senza tempo e unica verità. Mentre i musulmani, ma il saluto è diffuso anche tra gli hindu e i cristiani, dicono Khuda hafiz, che dio ti protegga.
Spesso per strada il saluto è accompagnato da un dolce scuotere delle testa, che aggiunge affabilità e calore al gesto. Il movimento della testa comunica solidarietà e affetto. Capita a volte di scambiare interi dialoghi di convenevoli semplicemente con la testa. Se incontrate uno sconosciuto per strada che vi guarda e sorridendo scuote leggermente la testa interpretate come “Buon giorno!” e rispondete allo stesso modo; se invece è qualcuno che conoscete a sorridervi e scuotere la testa allora il dialogo si allunga: “Ciao, bella giornata oggi, Come stai? Io sto bene, grazie. Adesso devo andare, buona giornata!”. Il tutto senza proferire parola!