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502. Sapienza idraulica dal passato

un pennello da archeologo appoggiato su gradoni di pietra, la scritta dice Scavi in corso

Un enorme piscina a scaloni è stata riportata alla luce in Gujarat; la notizia riportata oggi dal Times of India ha risvegliato i miei sopiti sogni di esploratrice del tempo (anche se la notizia potrebbe non avere avuto molto senso, pare infatti che la riserva d'acqua di cui si parla sarebbe stata rinvenuta 15 anni fa secondo quanto si legge in un articolo di Scroll.in).

La scoperta è di grande importanza per gli studiosi dell’India antica, un nuovo tassello verso la ricostruzione di un’antica civiltà per molti versi ancora misteriosa che fiorì nell’attuale Pakistan e India nord-occidentale quasi 5000 anni fa – la civiltà dell’Indo conosciuta anche come civiltà di Mohenjo Daro e Harappa.


I primi ritrovamenti di questa cultura vennero alla luce per caso nel 1857, durante i lavori di costruzione della ferrovia all’epoca degli inglesi. Scavi veri e propri iniziarono solo negli anni venti e da allora il mistero continua ad avvolgere questa civiltà prettamente urbana che cinquemila anni fa costruiva città con un ordinato piano regolatore, case con mattoni della stessa dimensione, canali di scolo coperti e bagni con acqua corrente. Poi, improvvisamente attorno al 1900, la civiltà si estinse.
Sulle ragioni della fine della civiltà sono state fatte svariate ipotesi, la più accreditata sostiene che la diminuzione delle piogge monsoniche avrebbe causato la desertificazione e reso inabitabile il territorio (se vi piacciono i misteri e le soluzioni, in stile un po’ americano leggete La misteriosa estinzione degli Harappa, un succinto post del Navigatore curioso).


Il ritrovamento della riserva d’acqua nella regione di Kutch indica per certo l’importanza dell’acqua per questa antica civiltà.
Mi affascina la capacità della cultura indiana di evolversi senza dimenticare il proprio passato, e questo pozzo a gradoni che ho visto nell’immagine del giornale, ha rinforzato il mio amore per questa terra.

Ragioni pratiche hanno da sempre costretto l’’India ha gestire l’acqua con venerazione. Di fiumi ce ne sono pochi in molte regioni e la preziosa acqua dei monsoni è sempre stata la primaria fonte idrica. Da qui la necessità di edificare riserve per conservare la pioggia e pozzi per attingere a fonti sotterranee. L’acqua divenne sacra e di primaria importanza per i rituali (pensate alle abluzioni sacre).


Nella storia moderna i pozzi-riserva erano fatti costruire dalle regine (la donna è simbolo per eccellenza di fertilità e la maggior parte dei fiumi sono associati a divinità femminili), spesso erano gemellati a un tempio. Tra i più belli ci sono i baoli del Rajasthan e i vav del Gujarat (vedi il nostro precedente post Pozzi d’arte dell’India), dove si giunge all’acqua scendendo ripide scalinate.

Già scalinate, come quelle che costeggiano i principali luoghi sacri di abluzione, per esempio a Varanasi e come quelle del pozzo di Dholavira, recentemente dissotterrato e il più grande dell’antichità.


Ingegneri dell’IIT-Gandhinagar e archeologi dell’ Archeological Survey of India hanno condotto gli scavi e trovato altri pozzi, tracce di fiumi e laghi scomparsi (per una dettagliata descrizione dello scavo si veda il sito dell’ASI). Sono in corso studi per capire il complesso sistema idrico che permetteva agli uomini dell’età del bronzo di conservare, distribuire e utilizzare la preziosa acqua.
Forse c’è una lezione da riscoprire per l’India moderna, l’India dai sistemi di aria condizionata che prosciugano il sottosuolo, le tubature che colano, lo spreco, i canali che lasciano ampie terre senza acqua e la tendenza a dimenticare il vecchio per inseguire la chimera di un futuro luccicante. 



Crediti immagini

Work is always happening by Satish Krishnamurthy

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