266. Gayatri Mantra
Non è una canzone quella che vi proponiamo questa settimana. Il Gayatri mantra è difficile da definire, anche solo come genere. È un mantra: letteralmente ciò che agisce sul pensiero, un’espressione sacra -spesso una formula mistica, un canto o una preghiera.
Gayatri è il nome di una struttura metrica della lingua sanscrita, e ogni divinità ha il proprio gayatri mantra. Ma quando si parla di Gayatri Mantra ci si riferisce a quello più famoso, proposto da noi oggi e dedicato al dio Savitr, il sole dell’alba e del tramonto (bizzarro che il mantra più cantato non sia dedicato a una delle divinità hindu più popolari oggi – come Ganesha, la Devi o Shiva…). Le parole sono:
Om bhur bhuvah svah
Tat savitur varen(i)yam
Bhargo devasya dhimahi
Dhiyo yo nah pracodayat
Il Gayatri Mantra è una preghiera antica, detta la madre degli stessi Veda e veicolo di molteplici livelli di significato (nella forma personificata è anche una dea), ma noi non ci tuffiamo nel pozzo delle interpretazioni (online ne troverete molte).
Il primo verso non è parte del mantra ed è attinente alla visione del mondo dello yoga che prevede diversi livelli di esistenza (tra cui bhur, bhuva, svah).
Letteralmente i versi sanscriti significano
“Facci meditare sulla luce del sole che è Dio e possa la nostra mente essere ispirata dalla luce”.Â
La luce in India è energia divina, conoscenza e consapevolezza (pensate al concetto buddista di Illuminazione).
Tradizionalmente il mantra era parte della conoscenza esoterica fruibile solamente dagli uomini adulti di casta sacerdotale (brahmani), che ricevevano il mantra dal maestro durante il rito d’iniziazione. Nel periodo del risorgimento indiano Vivekananda e altri capi di movimenti riformatori lo aprirono al mondo, donne e caste basse comprese. Oggi non esiste hindu che non lo conosca, in milioni lo ripetono tutti i giorni e molte versioni new age sono in circolazione.
Noi preferiamo ascoltare il gayatri mantra cantato dagli indiani, per non fare come Allen Ginsberg nel 1968 che, durante le sommosse di Chicago, cantò per sette ore l’ “Om” per calmare la folla, quando un passante indiano gli allungò un foglietto informandolo che la sua pronuncia era completamente sbagliata (Deborah Baker, A Blue Hand: The Beats in India).